𝗔𝗰𝗰𝗮𝗱𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗹𝗰𝘂𝗻𝗲 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲 𝘂𝗻 𝗯𝗲𝗹 𝗴𝗶𝗼𝗿𝗻𝗼 𝘀𝗺𝗲𝘁𝘁𝗮𝗻𝗼 𝗱𝗶 𝗺𝗮𝗻𝗴𝗶𝗮𝗿𝗲. Quasi mai avviene all’improvviso, molto più spesso è l’esito di un processo che inizia in sordina, di cui parenti e amici si rendono conto solo in fasi molto avanzate. Questa malattia è conosciuta come “anoressia nervosa”, espressione che significa letteralmente “𝘳𝘪𝘧𝘪𝘶𝘵𝘰 𝘥𝘦𝘭 𝘤𝘪𝘣𝘰 𝘱𝘦𝘳 𝘮𝘰𝘵𝘪𝘷𝘪 𝘱𝘴𝘪𝘤𝘰𝘭𝘰𝘨𝘪𝘤𝘪”. Si tratta di un disturbo gravato da una mortalità importante, che – a seconda delle diverse statistiche – oscilla tra il 6% e il 20% dei malati.
𝗨𝗻𝗮 𝘃𝗼𝗹𝘁𝗮 𝘀𝗶 𝗿𝗶𝘁𝗲𝗻𝗲𝘃𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗹’𝗮𝗻𝗼𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶𝗮 𝗳𝗼𝘀𝘀𝗲 𝘂𝗻’𝗮𝗳𝗳𝗲𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗴𝗶𝗼𝘃𝗮𝗻𝗶 𝗱𝗼𝗻𝗻𝗲, che si manifestava durante o poco dopo la pubertà, associandosi a disturbi ormonali, arresto della maturazione sessuale, amenorrea. Adesso sappiamo che forme di anoressia mentale si possono verificare in ogni età, da quella infantile a quella più avanzata. Ci si è resi pure conto che l’anoressia può colpire anche i maschi.
𝗜𝗻 𝗱𝗲𝗳𝗶𝗻𝗶𝘁𝗶𝘃𝗮, 𝗶𝗹 𝗺𝗼𝗱𝗼 𝗶𝗻 𝗰𝘂𝗶 𝗼𝗴𝗴𝗶 𝘀𝗶 𝗰𝗼𝗻𝗰𝗲𝗽𝗶𝘀𝗰𝗲 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗮 𝗺𝗮𝗹𝗮𝘁𝘁𝗶𝗮 𝗲̀ 𝗽𝗿𝗼𝗳𝗼𝗻𝗱𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗰𝗮𝗺𝗯𝗶𝗮𝘁𝗼 rispetto al passato: la si considera parte di una variegata costellazione di affezioni del comportamento alimentare che hanno in comune un atteggiamento psicologicamente disturbato nei confronti del peso corporeo, dell’aspetto fisico e dell'alimentazione (https://www.thelancet.com/.../PIIS0140-6736(20.../fulltext).
𝗦𝗶 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗮 𝗱𝗶 𝘂𝗻𝗮 𝗱𝗲𝗳𝗶𝗻𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗺𝗼𝗹𝘁𝗼 𝘃𝗮𝗴𝗮, potendo comprendere varie forme di manipolazione alimentare dettata da percezioni alterate del proprio corpo. Il culturista che si sottopone a diete iperproteiche, assume farmaci anabolizzanti, si gonfia a dismisura continuando a vedersi però esile non sarebbe così diverso dall’adolescente scheletrica che rifiuta ostinatamente di mangiare perché è sicura di essere grassa.
𝗜𝗻𝘁𝗲𝘀𝗮 𝗶𝗻 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗼 𝘀𝗲𝗻𝘀𝗼 𝗽𝗶𝘂̀ 𝘃𝗮𝘀𝘁𝗼, 𝗹’𝗮𝗻𝗼𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶𝗮 𝗽𝘂𝗼̀ 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗶𝗱𝗲𝗿𝗮𝘁𝗮 𝗱𝗮𝘃𝘃𝗲𝗿𝗼 𝘂𝗻𝗮 𝗺𝗮𝗹𝗮𝘁𝘁𝗶𝗮 𝘁𝗶𝗽𝗶𝗰𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗼 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼. Ciò che è tipico del mondo in cui viviamo è la convinzione che il corpo sia un oggetto continuamente modificabile, una merce i cui pezzi di ricambio sono sempre a disposizione, una macchina che si può piegare con violenza ai propri voleri anche più estremi.
𝗟’ 𝗶𝗱𝗲𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗶𝗹 𝗰𝗼𝗿𝗽𝗼 𝘀𝗶𝗮 𝘂𝗻𝗮 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗿𝗶𝗲𝘁𝗮̀ 𝗱𝗶 𝗰𝘂𝗶 𝗱𝗶𝘀𝗽𝗼𝗿𝗿𝗲 nasce dal movimento femminista americano degli anni 1960. Quest’idea non è in nessun modo causa dei disturbi di cui parliamo – sia detto chiaro e senza equivoci di sorta – ma fornisce una visione del mondo che può contribuire a “mascherare” alcuni fenomeni patologici. Ad esempio, io sono convinto che molte forme di chirurgia estetica (compresa quella connessa alla “rettificazione sessuale”), di tatuaggi, di piercing, di attenzione ossessiva a certi alimenti come il glutine, il lattosio e altri simili, siano forme non comprese dello stesso disturbo che genera anche l’anoressia.
𝗦𝗲, 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗰𝗿𝗲𝗱𝗼, 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗯𝗮𝘀𝗲 𝗱𝗶 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗮 𝘃𝗮𝗿𝗶𝗲𝗴𝗮𝘁𝗮 𝘀𝗶𝗻𝘁𝗼𝗺𝗮𝘁𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗮 vi è una violenta e fredda determinazione a manipolare il proprio corpo, a dominarlo come un burattinaio controlla un burattino, con lo stesso sadismo con cui un bambino si diverte a torturare una lucertola, allora andrebbe ripensato profondamente l’approccio terapeutico verso questi pazienti. La maggior parte delle strategie terapeutiche sono oggi concepite allo scopo di modificare il comportamento alimentare, coinvolgendo dietologi, assistenti sociali, psicologi.
𝗧𝘂𝘁𝘁𝗮𝘃𝗶𝗮, 𝗶𝗹 𝗺𝗮𝗹𝗮𝘁𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝘃𝗲𝗱𝗲 𝗶𝗹 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗿𝗶𝗼 𝗰𝗼𝗿𝗽𝗼 𝗼𝗯𝗲𝘀𝗼 𝗾𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗲̀ 𝗶𝗻𝘃𝗲𝗰𝗲 𝗿𝗶𝗱𝗼𝘁𝘁𝗼 𝗮 𝘂𝗻𝗼 𝘀𝗰𝗵𝗲𝗹𝗲𝘁𝗿𝗼, macilento quando invece è una massa informe di muscoli, esplodere nel grasso per poi svuotarsi con vomito e lassativi, ossessionato da intolleranze alimentari inesistenti, non ha bisogno di “rieducazione” alimentare ma di riprendere contatto con la realtà.
𝗜𝗼 𝗿𝗶𝘁𝗲𝗻𝗴𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗶 𝗱𝗶𝘀𝘁𝘂𝗿𝗯𝗶, 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗾𝘂𝗲 𝘀𝗶 𝗽𝗿𝗲𝘀𝗲𝗻𝘁𝗶𝗻𝗼, 𝘀𝗶𝗮𝗻𝗼 𝗳𝗼𝗿𝗺𝗲 𝗱𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗶𝗿𝗶𝗼, che decorrono spesso ben “incapsulate" e misconosciute. Del delirio hanno la caratteristica tipica di essere convinzioni errate, assurde e resistenti a ogni critica. La loro palese assurdità emerge, però, solo in alcuni casi, quando, cioè, raggiunge gradi estremi o mette in pericolo la vita del paziente. Altrimenti la loro "congruenza" con i valori e le credenze della maggioranza della società finisce per occultarne l' aspetto psicopatologico.
𝗖𝗼𝗻 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗶 𝗺𝗮𝗹𝗮𝘁𝗶, 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗮𝗻𝗰𝗼𝗿𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶, 𝗯𝗶𝘀𝗼𝗴𝗻𝗮 𝘀𝗲𝗺𝗽𝗿𝗲 𝗽𝗿𝗼𝗰𝗲𝗱𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝗴𝗿𝗮𝗻𝗱𝗲 𝗰𝗮𝘂𝘁𝗲𝗹𝗮, perché spesso il disturbo alimentare è l’ultima barriera prima di profonde depressioni. È importante ribadire questo principio in un momento come l’attuale in cui si parla spesso di disturbi alimentari tra gli adolescenti. Personalmente ho molta poca fiducia nei dati forniti dall’ epidemiologia psichiatrica (per ragioni che ho spiegato altrove): ammesso, tuttavia, che davvero ci sia un incremento di queste patologie tra i giovani, a maggior ragione dovrebbero essere evitati comportamenti superficiali e banali.
𝗖𝘂𝗿𝗮𝗿𝗲 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗶 𝗺𝗮𝗹𝗮𝘁𝗶 𝗶𝗺𝗽𝗹𝗶𝗰𝗮 𝘀𝗽𝗲𝘀𝘀𝗼 𝘂𝗻 𝗽𝗲𝗿𝗰𝗼𝗿𝘀𝗼 𝗹𝘂𝗻𝗴𝗼 𝗲 𝗳𝗮𝘁𝗶𝗰𝗼𝘀𝗼, che si deve basare su un giusto approccio psicofarmacologico e psicoterapeutico combinato. Il paziente, manipolando il proprio corpo, sta mettendo in atto un tentativo di autoguarigione, che deve essere compreso e non deve mai essere aggredito prima di aver capito con cosa possa essere sostituito.
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