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Immagine del redattoreEmilio Mordini

PERDONO E GIUSTIZIA

Aggiornamento: 24 set 2023




Gliele perdona tutte!” Quante volte abbiamo udito e forse detto questa piccola frase. Poche cose indignano più gli esseri umani che il perdono, tranne quando siamo noi colui che perdona, nel qual caso il compiacimento per la propria magnanimità spesso vince su ogni altro sentimento.

Anche l’essere perdonato non è una situazione così desiderabile, di frequente lascia una sensazione di disagio frammista alla sgradevole impressione di dovere una riconoscenza che si preferirebbe evitare. Agli esseri umani non piace essere perdonati, a meno che questo perdono si accompagni ad una promessa di impunità futura: “Contessa, perdono!” implora il Conte di Almaviva nelle Nozze di Figaro, ma tutti sappiamo che alla prossima occasione ricadrà negli stessi errori.

La situazione che più dispiace, soprattutto a coloro che si credono giusti, è però vedere qualcun altro perdonato. Pochi di noi sono riusciti a non solidarizzare mai con il figlio primogenito della parabola evangelica, che lamenta l’ingiustizia di non essere trattato con la stessa benevolenza con cui è stato accolto il figliol prodigo. Cosa c’è nel perdono che ci dà tanto fastidio? Perché tolleriamo così poco, e ci sembra così profondamente ingiusto, che a qualcuno “gliela si lasci passare”?

Tutti sopportiamo male che qualcun altro abbia fatto quello che anche noi abbiamo fantasticato (senza avere il coraggio di farlo) e non paghi alcun prezzo. Se il primogenito della parabola evangelica del Figliuol Prodigo non avesse desiderato anche lui di prendere la sua parte di patrimonio e darsi alla bella vita, non si sarebbe mai scandalizzato del padre. Il suo scandalo nasce dal fatto che anche lui aveva probabilmente sognato di andarsene ma poi - per scrupolo o sensi di colpa o paura - non lo aveva fatto. Che però questa decisione non fosse una vera scelta d'amore lo testimonia l'invidia che - sotto, sotto - egli continuava a covare per il "traditore". Ed è questa l'invidia che scoppia quando il padre perdona il fratello.

Chi sbaglia deve essere castigato perché solo in tal modo si giustifica la scelta (il "sacrificio") di chi “non ha sbagliato”. Questo è ciò che sente nel suo intimo chi si comporta bene senza davvero desiderarlo ma solo perché non ha il coraggio di commettere il male. Non basta reprimere il male nel proprio cuore se poi la cattiveria rimane dentro di noi "come leone ruggente" (Pietro 1, 5, 8).


Così il desiderio di giustizia si rivela per quello che sovente è: desiderio camuffato di vendetta. A sua volta la vendetta ci risulta così piacevole perché dà soddisfazione all’invidia, che è la vera radice del male nel cuore dell’uomo.




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