La prima volta che la madre lo portò nel mio studio, mi guardò subito con occhi furbi, pieni di curiosità e con un po’ di paura. Simone non sembrava certo un bambino autistico. Sarà perché era bello, un puttino di circa quattro anni con dei riccioloni biondi da angelo rinascimentale, sarà stata quella sua aria da “impunito”, ma Simone non corrispondeva in nessun modo alla descrizione dei bambini autistici. Ma chi corrisponde mai a queste descrizioni stereotipate?
In quasi quarant’anni che curo, con farmaci e parole, persone sofferenti di disturbi mentali, adulti e qualche volta bambini, non ho mai trovato pazienti che corrispondessero alle descrizioni dei libri. Alcuni “si sforzavano” di assomigliare ai trattati di psichiatria, forse sotto l’influsso di colleghi che li avevano seguiti e indottrinati prima di me. I sociologi insegnano che esiste una “carriera” del malato, che si apprende uniformandosi a modi di fare, stili di vita, comportamenti così come sono attesi dal personale curante e, a volte, anche dalle famiglie. Questa è anche la vera emergenza che si deve fronteggiare con i bambini autistici, intervenire prima che essi intraprendano la carriera del disabile mentale, da cui ben difficilmente usciranno più.
Che cos’è l’autismo? La risposta non è facile innanzitutto perché non esiste l’“autismo”. Si dovrebbe più correttamente parlare di “disturbi dello spettro autistico” per indicare un insieme di condizioni eterogenee, tra loro molto diverse come presentazione clinica, prognosi, evoluzione, trattamento ed eziologia. Quello che hanno probabilmente in comune tutte queste condizioni è l’essere una “cicatrice”, cioè una traccia di qualcosa che è accaduto nella vita intrauterina. Semplificando in modo estremo, si potrebbe dire che i disturbi autistici sono l’esito di una psicosi occorsa negli stati iniziali dello sviluppo psichico, durante la vita fetale. Cosa può aver determinato un evento così precoce? È impossibile dirlo, almeno allo stato attuale delle conoscenze. Ci possono essere stati fattori tossici, genetici, relazionali (noi continuiamo a sottovalutare la ricchezza e complessità della vita mentale del feto): fatto sta che quello che si osserva è l’esito di un fatto già avvenuto, che ha raggiunto una sua guarigione per difetto. I disturbi autistici sono difficili da trattare proprio perché sono “stabilizzati”.
Ci sono anche elementi positivi che andrebbero valorizzati e che, invece, sono purtroppo spesso trascurati. Innanzitutto, l’eterogeneità della sindrome fa sì che non si sappia mai veramente bene con quale quadro si abbia a che fare, quali situazioni siano tuttora sufficientemente fluide da essere manipolate terapeuticamente, quali capacità si possano ancora sviluppare. In secondo luogo, non bisogna mai scordare la plasticità della mente umana in ogni fase della vita e, soprattutto, nel corso dei primi anni di esistenza: le risorse biologiche e psicologiche di un bambino di pochi mesi o anni sono immense e vale sempre la pena scommettere su di esse. In terzo luogo, bisogna considerare un’interessante teoria che capovolge alcune delle credenze più consolidate sull’autismo. Si ritiene comunemente che un bambino affetto da un disturbo autistico si rinchiuda in sé stesso e non comunichi emozionalmente con il mondo. Come clinico ho sempre trovato questa teoria del tutto priva di fondamento, un po’ come quella che pretende che gli “schizofrenici” (altra categoria diagnostica di cui varrebbe la pena di parlare) soffrano di un appiattimento dell'affettività. A me è sempre sembrato il contrario. La teoria del “mondo troppo intenso”, proposta circa una decina di anni fa da un gruppo di neuroscienziati svizzeri, sulla base di studi puramente neurobiologici e non clinici, mi darebbe ragione poiché sostiene che i bambini diagnosticati autistici soffrirebbero di una estrema sensibilità sensoriale ed emotiva al mondo, per cui stimoli che sono innocui per la maggior parte delle persone, risultano a loro intollerabili. I bambini lotterebbero per non essere travolti costantemente da un’inondazione catastrofica di percezioni, sensazioni, emozioni. Vera o falsa, questa teoria ha il grande vantaggio di richiamare l’attenzione sulla ricchezza, spesso negata, della vita mentale di questi bambini.
Infine, parlando di autismo, non si può fare a meno di menzionare la genia di mascalzoni e truffatori di ogni risma che, approfittandosi dello sconcerto e, spesso, anche dei sensi di colpa, dei genitori, propongono un’infinità di terapie inutili, costose e truffaldine, il più delle volte basate su teorie palesemente false e ingannatrici, come quelle che riconnettono l’autismo ai vaccini o all’assunzione di determinati metalli. Perché queste panzane hanno così presa? Ci sono certo molte ragioni, una tuttavia deve essere citata: se la medicina vuole creare fiducia ed essere credibile, deve essere onesta, deve sapere ammettere con candore le proprie ignoranze e manchevolezze. Se al contrario prevalgono arroganza e presupponenza, la stupida convinzione di possedere la “scienza”, ecco che allora, a parità di presunzione e propaganda, vinceranno sempre i ciarlatani professionali che il mestiere di imbroglioni lo conoscono molto meglio dei medici onesti.