L’aria si fa dolce, sbocciano i mandorli, le giornate si allungano. Aprile, “the cruellest month, breeding/ Lilacs out of the dead land, mixing/ Memory and desire” è alle porte e con lui ritornano antichi riti di primavera, che affondano le loro radici in epoche lontane: cerimonie di fertilità e di amore, di sangue e rinascita. I primi giorni del mese i Romani festeggiavano Venus Verticordia, la Venere che cambia i cuori, e Fortuna Virilis, la dea della pudicizia e della fecondità. Da noi, più laicamente, tornano l’ora legale e la proposta di “castrazione chimica” degli stupratori, temi dibattuti sino alla noia ma che si ripresentano ogni anno insieme alle rondini. Le parole, si sa, sono ambigue e possono significare molte cose diverse tra loro. “Scatta l'ora legale, panico tra i socialisti" titolava un giornale satirico di molti anni fa, ignaro del fatto che gli si sarebbe già allora potuto ribattere “de te fabula narratur”. Non diversamente ci si dovrebbe chiedere: “di quale castrazione andiamo mai parlando?”
La sessualità umana, anche nelle sue manifestazioni più disperate e crudeli, va ben al di là della concentrazione ematica di un ormone. La soppressione dell’attività androgena difficilmente inibirà uno stupratore maschio, che è mosso da ben altre ragioni che il livello di un ormone; come potrà essere applicata questa misura, poi, ad una stupratrice femmina? A quali cure obbligatorie bisognerebbe sottoporre una donna pedofila? Ad un trattamento anti-estrogenico, che induca in lei una menopausa farmacologica? Quando mai la menopausa inibirebbe l’attività sessuale? Oppure bisognerebbe sottoporre anche la donna ad un trattamento soppressivo a base di medrossiprogesterone, sulla base della considerazione che gli androgeni sono gli ormoni del “desiderio sessuale” in entrambi i sessi? Una donna impregnata solo di estrogeni perderebbe forse il desiderio sessuale? Per non parlare di quei paesi dove ci si “limita” a somministrare psicofarmaci agli stupratori, continuando, tuttavia, a chiamare questa prassi “castrazione chimica”. Insomma, l’espressione “castrazione chimica” serve soltanto a nascondere un cumulo di stupidaggini, prive del pur minimo fondamento medico e scientifico. Alla fine, si tratta di una pratica che ha lo stesso senso del taglio della mano per chi ruba: nessuno pensa che, mancando di una mano, il ladro sia impedito a proseguire nella sua attività, la pena serve piuttosto a indicare un contrappasso tra colpa e punizione. Questa è la ragione per la quale la castrazione è invocata solo per gli stupratori maschi, gli unici dotati di un pene che possa essere, almeno simbolicamente, amputato.
Probabilmente i politici si rendono conto del significato magico della “castrazione chimica” e astutamente ne sfruttano gli effetti sull’opinione pubblica. Non altrettanto i commentatori, che sembrano invece prendere con grande serietà questo dibattito, confondendo ridicolmente pène e péne, diritti dell’uomo e riti di primavera.